Restorative justice: di cosa stiamo parlando

La giustizia penale

Patrizia Patrizi

11/1/20253 min read

La restorative justice è un paradigma e, in quanto tale, non può essere assunta, compresa, praticata entro quell’ottica retributiva che non solo caratterizza la giustizia penale, ma pervade i contesti della nostra vita: pensiamo alle risposte retributive nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei contesti della nostra vita quotidiana, dove, alla trasgressione di una regola, a un torto, si risponde con separazione, allontanamento, stigma di chi ha agito, non sempre attenzione a chi ha subito. Come afferma Howard Zehr, pioniere e padre della restorative justice, si tratta di “cambiare le lenti” (Zehr, 1990): un crimine o altro illecito, un torto non sono solo violazione di una norma e dello Stato (o dei regolamenti che vigono in un determinato contesto), sono violazione di persone e di relazioni, che creano fratture interpersonali e sociali proprio perché a essere trasgredite sono le legittime attese che gli obblighi di convivenza siano rispettati. Alla violazione di obblighi, pertanto, devono corrispondere obblighi di riparare, di “mettere a posto le cose” (Zehr, 2002). Per farlo, è necessario il coinvolgimento di tutte le parti coinvolte: chi ha subito le conseguenze di un torto o di un illecito (parte prevalentemente trascurata, più spesso ignorata dalla giustizia penale), e coloro che a questa persona sono vicine; chi lo ha generato, e le persone a lei/lui/loro vicine; la comunità, cui ambedue appartengono, a volte offesa, a volte responsabile, altre osservatrice silente, indifferente, o collusa. La giustizia riparativa guarda al futuro, a ciò che può essere fatto da quel momento in poi, con rispetto della dignità umana di tutte le parti, tutte portatrici di bisogni. Perché per questo paradigma - solo apparentemente nuovo ma già presente in molte tradizioni indigene - il problema non sono le persone ma le conseguenze di quanto avvenuto, cioè il danno (Chapman, 2020); e il danno genera bisogni: in chi ha subito, in chi ha agito, nella comunità. Le parole dell’European Forum for Restorative Justice[1] costituiscono sintesi eloquente di ciò che la restorative justice è, delle sue finalità, dei suoi protagonisti, degli ambiti applicativi:


[1] L’European Forum for Restorative Justice è la più ampia organizzazione di rete internazionale che collega operatori, accademici, attivisti, organizzazioni e responsabili politici attivi nel campo della restorative justice in tutta Europa e oltre. Promuove la ricerca, lo sviluppo delle politiche e delle pratiche affinché ogni persona possa avere accesso a servizi di giustizia riparativa di alta qualità, in ogni momento e in ogni caso. Il suo obiettivo principale è l'applicazione della restorative justice in ambito penale, ma non sono escluse altre aree, come la famiglia, la scuola, i luoghi lavorativi, le comunità locali. L'EFRJ non propone un unico modello di restorative justice, ma riconosce che la restorative justice è un approccio in evoluzione. Tuttavia, è essenziale che qualsiasi servizio restorative sia basato sui valori e i principi restorative fondamentali e che aderisca a standard di buone pratiche. https://www.euforumrj.org/en/our-mission

La restorative justice è un approccio volto a fronteggiare il danno o il rischio di danno coinvolgendo tutte e tutti coloro che ne sono colpiti per raggiungere un’intesa comune e un accordo su come il danno o il torto può essere riparato e giustizia ottenuta (EFRJ, 2018, p. 3).

(…)

Anziché separare le persone o escludere quelle percepite come una minaccia, i processi restorative ripristinano protezione e sicurezza proprio riunendo le persone così da annullare l'ingiustizia, riparare il danno subito e alleviare la sofferenza attraverso il dialogo e l’intesa.

La restorative justice è appropriata ed efficace nei contesti di giustizia, sicurezza, peace building, educazione, sviluppo sociale, sostegno familiare, diritti e benessere di bambine e bambini, così come nella vita organizzativa e comunitaria (EFRJ, 2018, p. 7).

Per accogliere la restorative justice non si può prescindere dai suoi valori e principi che rispettano la dignità umana, riconoscono i bisogni di tutte le parti e le responsabilità conseguenti alla violazione, affermano che la partecipazione non può che essere libera, volontaria e confidenziale, perché le verità soggettive possano entrare in dialogo e, insieme, andare verso l’obiettivo di «disfare un’ingiustizia e di ripristinare giustizia» (Chapman, 2020, p. 66).

E allora, molto lavoro c’è da fare in Italia, soprattutto in chiave di sensibilizzazione diffusa e di formazione, sia nei contesti esperti che nelle comunità, altrimenti la giustizia riparativa continuerà a essere letta secondo idee pregiudiziali derivate dalla lente retributiva. Solo per citarne alcune: il pregiudizio che si tratti di una forma di clemenza nei confronti di chi ha agito e di una doppia vittimizzazione per chi ha subito; che le sanzioni riparative, il lavoro di pubblica utilità e la messa alla prova siano espressioni di giustizia riparativa. Questo è il rischio di un innesto non consapevole.

Nuclei costitutivi della restorative justice sono i suoi valori e principi (cfr. EFRJ, 2018; 2021). I valori: rispetto per la dignità umana, solidarietà e responsabilità, giustizia e accountability (sentirsi responsabili per le conseguenze nei confronti di chi ha subito e renderne conto), ricerca delle verità attraverso il dialogo (non la verità fattuale o processuale, ma il modo in cui le persone percepiscono, sentono, elaborano quanto accaduto). I principi: la partecipazione libera, attiva e volontaria delle parti, uguale attenzione ai loro bisogni e interessi, assenza di dominio, dialogo libero e rispettoso, confidenzialità, riparazione del danno, soluzioni concordate e rispetto della loro attuazione.